domenica 23 novembre 2014

Globalizzazione, democrazia e partiti no-euro

Il fenomeno sociale ed economico che ha dominato gli ultimi decenni è stato sicuramente la globalizzazione. Essa ha portato ad una nuova civiltà dove le società sono strettamente interconnesse.
Interconnessione che si manifesta più visibilmente nel fenomeno delle moderne tecnologie d'informazione, ma che trova senz'ombra di dubbio il proprio motore nell'organizzazione delle grandi imprese multinazionali, nella liberalizzazione del commercio, nella diffusione globale di modelli culturali di massa e fonti d'informazione omologate e controllate da pochi centri.
Spesso questo fenomeno viene presentato come una inevitabile evoluzione della storia, un processo "senza alternative"  ( quest'ultimo tema della politica introdotto nell'agenda politica soprattutto alla Lady di Ferro, Margareth Thatcher ), secondo il quale, destino dell'umanità è di vivere in un unico mondo privo di divisioni. Tralasciando le opinioni e ogni giudizio di valore circa la desiderabilità e la dimostrabilità di tale visione teleologica del percorso dell'umanità, analizzeremo invece quali sono i fenomeni "facilitanti" di tale percorso.
In primo luogo i difensori acritici della globalizzazione, scaricano la responsabilità principalmente sulle logiche dell'economia, che funzionerebbe come una forza scatenante ( ma soprattutto scatenata ) di altri fenomeni, grazie soltanto al dispiegarsi delle sue immanenti leggi naturali.
Va da sé che opporsi alla Natura, oltre che antimoderno e antistorico, rischia di essere soprattutto inutile.
In realtà, come concordano due osservatori attenti e critici come Stiglitz e Gallino, pur partendo da formazioni culturali e politiche diverse, il processo della globalizzazione degli ultimi decenni è stato dettato dai cambiamenti imposti dalla politica alle regole del gioco, con la liberalizzazione dei flussi dei capitali e delle merci, imposta seguendo l'ideologia neoliberale, a forza di crisi finanziarie e ristrutturazioni politico-economiche guidate dall'FMI. La politica, quindi, e non l'economia ha promosso la globalizzazione.
Il risultato è stato apparentemente un boomerang, con l'innegabile, ma non incolpevole, ridimensionamento del ruolo della politica come guida della società. Qui però bisogna stare attenti al piano "geografico" su quale si gioca, perchè in ultima analisi ad essere duramente colpita è stata soprattutto l'istituzione dove, nella seconda metà del XX secolo, si era manifestata in maniera più evoluta e compiuta la democrazia: lo Stato Nazionale.
Occorre quindi precisare che a risultare sconfitta non è stata la politica, intesa come potere, ma la politica intesa nella sua espressione nazionale. Il potere si è trasferito su un "piano" più alto.
Hanno cominciato ad essere imposti agli Stati Nazionali "vincoli esterni", proposti da organismi caratterizzati dalla scarsa o nulla rappresentatività democratica , i quali hanno cambiato il volto di intere società. Facciamo un breve elenco dei risultati: riduzione dell'intervento dello Stato, soprattutto nella sua forma più recente di Welfare State, privatizzazioni, liberalizzazione dei capitali e dominio dei mercati, precarizzazione del lavoro, crescita della diseguaglianza e polarizzazione della ricchezza.
Spesso il noto filosofo e sociologo Zygmunt Bauman nelle sue conferenze parla di questo fenomeno come di una separazione tra potere e politica. Personalmente, preferisco parlare di avvenuta separazione tra potere e sovranità. La sovranità, nazionale e popolare, è stata svuotata del suo potere.
Abbiamo vissuto e stiamo vivendo un processo di "esternalizzazione del potere", secondo il quale esso si colloca al di fuori delle comunità sulle quali esso si applica.
Vediamo la descrizione di questo fenomeno dalle parole di Zygmunt Bauman ( pag. XXII e XXIII di "La società sotto assedio"): "Proprio come allora, le odierne istituzioni di controllo democratico, politico ed etico, territorialmente confinate e ancorate al suolo come sono, non possono minimamente contrastare la finanza, il capitale e il commercio globali, sempre più extraterritoriali e fluttuanti."
In questa visione possiamo inserire la nascita e lo sviluppo della Comunità Economica Europea prima e dell'Unione Europea dopo.
Mettiamo brevemente alla prova le istituzioni europee, per capirne la natura e le funzioni.
La nuova realtà europea potrebbe essere vista come un "corpo intermedio", che si giustifica come reazione al potere economico extra-nazionale, un tentativo volto a tutelare i cittadini europei di fronte al fiume in piena della globalizzazione, un nuovo confine entro il quale riattivare i diritti politici, sociali ed economici messi sotto tiro dal potere economico globale.
Tale speranza ha però vita breve: in primo luogo appare chiaro come le sue stesse dimensioni intermedie ne vanificherebbero gli sforzi regolatori su un capitale che si muove da tempo su orizzonti più ampi e superiori.
Ma a vanificare alla radice tale speranza interviene l'analisi storica del realizzarsi dell'Unione Europea e la conseguente introduzione della Moneta Unica.
Applicando lo schema di Bauman dovremmo aspettarci che a promuovere le istituzioni europee a sua tutela fosse stata la politica democratica, quindi con ampio e motivato consenso dei cittadini elettori. Il vizio originario sta proprio nel fatto che sono state, invece, le stesse elites economiche nazionali a proporre e sostenere l'introduzione di istituzioni extra-territoriali, con il dichiarato vizio d'origine del "vincolo esterno", come uno strumento al loro servizio.
Numerose sono le testimonianze e le ammissioni in tal senso dei protagonisti della costruzione dell'Unione Europea. Tra questi vorrei ricordare Guido Carli ( firmatario del Trattato di Maastricht ) che nel suo libro di memorie del 1996 (" Cinquant'anni di vita italiana") a pagina 406 scrive:" Per parte mia, ho informato la mia azione all'idea che per il nostro Paese la presenza di un vincolo giuridico internazionale avesse una funzione positiva agli effetti del ripristino di una sana finanza pubblica, ritenendo, pessimisticamente, che senza questo obbligo difficilmente la nostra classe politica avrebbe mutato indirizzo".
Per inciso, vale la pena di ricordare che lo stesso Carli sostenne "la più completa autonomia della Banca d'Italia" presentando "disegni di legge con i quali viene munita del potere di determinare senza concorso del Tesoro i tassi ufficiali  e con i quali si rescinde ogni legame con il Tesoro dal quale possa derivare l'obbligo di finanziarne le occorrenze...". Insomma, il famoso divorzio Tesoro-Banca d'Italia, a seguito del quale la banca centrale italiana cessa di essere sottoposta ad ogni forma di controllo/legittimazione politica e il Ministero del Tesoro cessa di avere il controllo della politica monetaria.
E' fatto notorio e consolidato che lo strumento operativo principe che le istituzioni europee si sono date per attuare le loro politiche sia l'Euro ( per comprenderne i motivi e le dinamiche rinvio a chi ne sa più di me in materia).
Dopo decenni di univoca ideologia pro-euro, negli ultimi tempi si è aperto un dibattito sull'uscita dall'Euro che ha trovato sponda e sostenitori politici in alcuni partiti, collocati prevalentemente sull'ala destra dello schieramento politico. Alcuni esponenti di sinistra italiani hanno cominciato ad esprimere opinioni di critica all'Euro, ma in realtà nessun partito della sinistra ha assunto tale prospettiva nel suo programma.
I più noti partiti apertamente no-euro sono il Front National ( in Francia ), la Lega Nord e Fratelli d'Italia - Alleanza Nazionale ( in Italia ), mentre il Movimento 5 Stelle ondeggia a seconda dei momenti, ma nel suo Programma nessuna delle 5 Stelle è dedicata all'Euro e alle istituzioni europee.
Se è vero lo scenario descritto prima sulle dinamiche che coinvolgono potere economico e democratico, appare evidente l'inadequatezza della risposta indicata dai suddetti partiti per il loro dichiarato nazionalismo ( la Lega Nord ha assunto atteggiamenti nazionalisti da poco, dopo essere stata per lungo tempo anti-nazionale, secessionista e/o federalista a seconda del momento politico e della sua collocazione rispetto al governo nazionale).
Una risposta che porta con sé la ri-valorizzazione delle istituzioni nazionali, è destinata ad essere inefficace, perchè fa riferimento ad istituzioni oramai de-facto svuotate e non aiuta minimamente a ridefinire un nuovo assetto istituzionale realmente capace di incidere sulle dinamiche reali che influiscono sulle comunità di persone nel contesto globale e a rivitalizzare le istituzioni democratiche.
Chiudo con una piccola e ovvia riflessione: la delocalizzazione, la crescita della disuguaglianza, la rapacità del capitale, la distruzione dell'ambiente, purtroppo hanno luogo anche negli Stati Uniti, con altri assetti istituzionali. Con questo intendo dire che il problema è più ampio e in Europa ha trovato una sua forma specifica, ma la sua natura travalica i confini dell'Europa.
Perchè sia parte di una più ampia battaglia sulla democrazia e sulla natura delle moderne istituzioni politiche auspicherei vivamente una uscita dall'Euro non nazionalistica.

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